Quest’ideale romantico per il quale l’autodeterminazione di un popolo debba esprimersi con la creazione di uno staterello dotato di nome, recinto, bandiera, banca centrale e nazionale di calcio è una di quelle puttanate generate dalla prima Grande Puttanata Primordiale (GPP): l’idea che lingua, cultura, origini e tradizioni servano a dividere le persone invece che a dar loro sapidi argomenti di discussione al bancone del bar o in fila alle poste. In secoli di scissioni e gemmazioni (attività tipiche dei batteri e di alcuni vermi particolarmente estroversi) ci siamo dimenticati un concetto fondamentale: lo Stato non esiste, non è un cazzo, niente; è l’idea bizzarra di uno che una volta ha deciso di recintare una pozzanghera dicendo “questa è casa mia”. Appartenere a uno Stato è come appartenere al segno dei Gemelli o alla nobile comunità degli ambidestri: un modo di dire “ehi, questi siamo noi, e siamo davvero splendidi”.
Riunirsi in un cosiddetto Stato serve — semmai — a proteggersi da usurpatori, dittatori e scemi armati di varia foggia: i curdi hanno bisogno di chiamarsi curdi per evitare di essere usati dai turchi come portalampade, i tibetani hanno bisogno di chiamarsi tibetani per evitare di essere usati dai cinesi come modo di dire, ma cazzo, la signora Giovina del primo piano non ha bisogno di chiamarsi Giovinistàn per evitare che la vicina di casa le stenda i panni sopra al balcone. La signora Giovina non ha bisogno di elezioni democratiche o di referendum. La signora Giovina ha bisogno di andar su dalla signora del piano di sopra e dirle di smetterla di cacare il cazzo.