Ho scritto la prefazione per il bel libro di foto di Francesco di Pasquantonio, pubblicato dalla Parker&Co. Andate e vedetelo tutto, c’è dentro roba bella bella. Poi se ci avete tempo, portatevi la prefazione in saccoccia e leggetela ai passanti.
Light, shape and matter [download pdf], 2010 – Parker&Co.
La materia è la grande illusione.
La materia, cioè, si manifesta nella forma e la forma è un fantasma.
(Jack London, II vagabondo delle stelle, XII)
Luce, forma e materia sono stagioni della percezione sensibile, sottoinsiemi sensoriali che costeggiano la rappresentazione oggettiva del mondo, senza annullarsi in essa. Le rappresentazioni visive di Francesco di Pasquantonio, narrazioni visuali iperrealistiche e non, pacificamente, astratte, sono emergenza di materia ritratta che non compone, ma che si rivela nella disgregazione originale dell’elemento semplice. In esse la luce non scopre e non definisce, ammanta piuttosto, come un pensiero confuso elaborato a partire da indizi inesatti.
Un racconto per ciechi, per occhi che perdono la propria innocenza di organi al contatto con materie che nascono, mutano e marciscono restando sorprendentemente originarie. Gli elementi della natura riemergono e feriscono in una ierofania frattale che moltiplica le perfezioni del semplicemente accaduto, esistente, forma inerte. Un albero è la traccia genealogica del suo essere movimento e storia inessenziale, storia passiva d’albero e di materia. Un’architettura è metafora, un viso è ricostruzione artificiale di materia umana, un’arachide è vita informe e movimento plastico.
Tutte insieme sono storie che solo se fermate e imposte agli occhi possono rivelarsi, storia di storie che da sola non esiste, come un racconto non ascoltato da nessuno, una storia non raccontata perché povera di eventi, e di azione. Eppure l’azione, nelle immagini di questa raccolta, ferisce, graffia le pareti interne degli occhi, forse perché è un presentimento non appagato, è lo spazio tra le immagini, è il contorno delle fotografie, è al confine con le mani e con l’intenzione, nell’atto cognitivo dello scatto. Il movimento è alla fine, è al termine dell’inerzia, è residuo, e lo scatto non fa che raccoglierne i pezzi, nella composizione di un rudere ancestrale che rivela la nientità di cose che nelle cose non esistono, non si rivelano, almeno, o semplicemente non sono a portata di occhi supponenti. Il percorso nelle opere di Di Pasquantonio è catàbasi della visione che cattura il senso della forma dalla afasia onirica dell’artificiale alla composizione organica della pura materia. Un viaggio all’interno del quale la stessa presenza umana appare una semplice variante di una vitale disarmonia naturale. Tutte le forme, organiche e inorganiche, sono come infiammate, distorte dallo squilibrio del vertiginoso così come dal dettaglio costitutivo, risultato di una suppurazione di colore, di luce, o semplicemente di materia.
La percezione sensibile e la rappresentazione oggettiva del mondo restano tangenti, in una zona neutrale in cui non è facile distinguere le geometrie astratte dalle forme imperfette del reale. Le foreste urbane e le architetture naturali si intrecciano e si scambiano di posto, tramutano, e confondono ogni tentativo analitico di categorizzazione. Eppure, guardare queste forme, queste luci, questa materia, non è esperienza che rimandi a una cronologia delle origini, è piuttosto una controdeduzione genealogica che trasporta dagli esiti alla semplicità inafferrabile del primigenio. Si guarda regredendo, dalle metarappresentazioni del reale, alla ricomposizione metaforica, dalla personificazione dell’inerte alla trasfigurazione dell’umano, fino a scoprirsi in uno sguardo selvaggio composto soltanto di semplice, autentico stupore.